A piedi. Ero a piedi e dovevo farmi i miei 90 chilometri dalla città, o poco più in là, all’altopiano. Una beffa, una sfiga. Con quel caldo, poi, avevo una sete tremenda. Di chinotto. Fresco, freschissimo. Non mi era mai piaciuto, ma chissà come ora pareva la mia bibita preferita.
Ed ero pure senza soldi: avevo messo venticinque euro in benzina e sigarette. Perciò non avrei nemmeno potuto prendere una corriera per avvicinarmi al paese. Posto che fossi riuscito a fermarla (ma come? In superstrada… era un’idea folle, figuriamoci) e posto che ce ne fossero state - e non ce n’erano in vista - dato che erano le sette di sera ormai. Provai a fare qualche chiamata agli amici, ai parenti e ai conoscenti che avevo in rubrica per sapere se qualcuno non dovesse per caso viaggiare verso l’altopiano ma nulla, l’unica cosa che riuscii a fare fu scaricare il cellulare.
Niente più credito e ora batteria al lumicino. Tutta insieme la sfiga. Meglio tornare a casa. D’altronde avevo fatto massimo cinque chilometri di superstrada, certo. Una mezz’oretta a piedi, un po’ di più magari. Avrei lasciato lì la macchina, tanto era ben messa, nella corsia di emergenza, e ciccia. Addio alle speranze di andare alla festa dei coetanei ma vabbè, la macchina non voleva saperne e dunque dovevo arrendermi. Sì.
Ma quando mai. Oramai il viaggio l’avevo iniziato e l’avrei portato a termine. Di tornare in città non ne avevo voglia. E a fare che? A starmene il fine settimana al caldo, per giunta a piedi, con quell’incazzo assurdo dentro? No, no, manco morto. Avrei chiesto un passaggio, sì.
Mi sembrò la soluzione migliore. L’avevo già fatto, e tante volte, anche se era da un po’ che non mi cimentavo col pollice. Il viaggio intero città-altopiano l’avevo fatto parecchie volte, quand’ero al liceo, sì. Robe da ragazzi. Robe di quindici anni prima. Avevo ripetuto l’esperienza qualche anno dopo, all’università, con un amico o con un altro. E poi tutti i passaggi per andare al lago, dall’altopiano. E qualcuno dal mare oltre le montagne all’altopiano. E non solo, chilometri di costa macinati qui e là, ma mai così, in emergenza. Sempre con zaino e voglia di avventura. Roba seria, insomma. Ma ora? Sì, ora?
Ora nulla, autostop o tornare in città con la coda tra le gambe.
Decisi per l’autostop. Anzi: la Polo decise per l’autostop. E io abboccai.
Ed ero pure senza soldi: avevo messo venticinque euro in benzina e sigarette. Perciò non avrei nemmeno potuto prendere una corriera per avvicinarmi al paese. Posto che fossi riuscito a fermarla (ma come? In superstrada… era un’idea folle, figuriamoci) e posto che ce ne fossero state - e non ce n’erano in vista - dato che erano le sette di sera ormai. Provai a fare qualche chiamata agli amici, ai parenti e ai conoscenti che avevo in rubrica per sapere se qualcuno non dovesse per caso viaggiare verso l’altopiano ma nulla, l’unica cosa che riuscii a fare fu scaricare il cellulare.
Niente più credito e ora batteria al lumicino. Tutta insieme la sfiga. Meglio tornare a casa. D’altronde avevo fatto massimo cinque chilometri di superstrada, certo. Una mezz’oretta a piedi, un po’ di più magari. Avrei lasciato lì la macchina, tanto era ben messa, nella corsia di emergenza, e ciccia. Addio alle speranze di andare alla festa dei coetanei ma vabbè, la macchina non voleva saperne e dunque dovevo arrendermi. Sì.
Ma quando mai. Oramai il viaggio l’avevo iniziato e l’avrei portato a termine. Di tornare in città non ne avevo voglia. E a fare che? A starmene il fine settimana al caldo, per giunta a piedi, con quell’incazzo assurdo dentro? No, no, manco morto. Avrei chiesto un passaggio, sì.
Mi sembrò la soluzione migliore. L’avevo già fatto, e tante volte, anche se era da un po’ che non mi cimentavo col pollice. Il viaggio intero città-altopiano l’avevo fatto parecchie volte, quand’ero al liceo, sì. Robe da ragazzi. Robe di quindici anni prima. Avevo ripetuto l’esperienza qualche anno dopo, all’università, con un amico o con un altro. E poi tutti i passaggi per andare al lago, dall’altopiano. E qualcuno dal mare oltre le montagne all’altopiano. E non solo, chilometri di costa macinati qui e là, ma mai così, in emergenza. Sempre con zaino e voglia di avventura. Roba seria, insomma. Ma ora? Sì, ora?
Ora nulla, autostop o tornare in città con la coda tra le gambe.
Decisi per l’autostop. Anzi: la Polo decise per l’autostop. E io abboccai.