Spesso gli interventi della gerarchia hanno accreditato l’immagine di una Chiesa prepotente e interventista, finendo col rendere terribilmente più complicato il già difficile lavoro di chi opera nella vigna del Signore.
Circola da tempo un pensiero post-secolare che invoca il ritorno della religione nella sfera pubblica, con l’auspicio che faccia da collante etico-politico per democrazie ormai sfibrate. Ma in una società di fatto monoreligiosa come quella italiana l’attivismo politico del cattolicesimo comporta un rischio serio per l’autonomia della legge civile, come ha mostrato la vicenda del crocefisso nelle scuole pubbliche. Una operazione rischiosa anche per la stessa Chiesa cattolica. Il "progetto culturale" del cardinal Ruini, teso a rilanciare il ruolo pubblico dei cattolici, era rivolto a un mondo che non esiste più dagli anni Cinquanta: la centralità della coscienza individuale e un reale pluralismo interno hanno infatti preso il posto di gerarchie e liturgie tradizionali. Tentare di tradurre in politica la forza di queste esperienze religiose è velleitario e dannoso per chi ha a cuore il futuro della fede.