“Alfio Musumeci” è un’opera drammatica che tratta il tema delle carceri e della giustizia italiana. Il catanese Alfio Musumeci appunto, laureato in Lettere Moderne, disoccupato e con la moglie incinta, per sbarcare il lunario si arrabatta come giardiniere e quant’altro serve nella villa di benestanti catanesi. Questi non lo pagano da tre mesi e Alfio deve cercare di sopravvivere con la moglie incinta. Una mattina che la famiglia si trova fuori in vacanza, disperato entra in casa e ruba 1000 euro. Le indagini che ne seguono lo identificano come l’autore del furto e quindi viene incriminato e arrestato. Ora deve cercare di sopravvivere in una struttura carceraria da detenuto, lasciando sola la moglie e con l’aggravio sul già loro negativo bilancio domestico delle spese inerenti la sua posizione di detenuto.
Per non farsi fiaccare da questa inedita e inattesa esperienza, Alfio intanto instaura un rapporto cameratesco coi detenuti in generale, ma soprattutto con quelli che condividono la cella con lui. Per egli non è facile, non è un criminale abituale, e possiede anche una cultura e una sensibilità molto al di sopra della media degli altri detenuti. Trasforma però ciò che può sembrare una debolezza nella sua forza, e grazie alla sua capacità di ascolto delle storie personali dei suoi provvisori compagni, riesce a sondarne il cuore e l’animo e a convincersi che molti non sarebbero finiti dentro, come lui del resto, se fuori ci fossero stati pari opportunità e giustizia sociale. Rinchiuso è costretto a vivere in prima persona tutte le storture del sistema carcerario e giudiziario italiano. E’ costretto a scoprire quanto poco riabilitativa è la detenzione in Italia, e quanto invece unicamente punitiva essa si svela, totalmente in contrasto coi principi costituzionali. Ciò specie quando poi a fine pena l’ex detenuto deve ritornare a fare i conti con la dura realtà che aveva lasciato prima del suo arresto, che ritrova intatta e anzi aggravata dall’indelebile marchio d’infamia di essere considerato per sempre un ex detenuto. Se gli era difficoltoso inserirsi nella comunità prima di delinquere, figuriamoci dopo che si è marchiato a vita delle “lettere scarlatte E. D.”.
Per dare un senso ai lunghi giorni di triste detenzione, Alfio si procura carta e penna e inizia a tenere un diario dove annota la sua esperienza carceraria. Con questo catartico atto di scrittura riesce a liberarsi un po’ della tanta angoscia che inevitabilmente attanaglia chi vive dentro una cella. Scrive anche per portare nel mondo di fuori ciò che avviene nel chiuso mondo carcerario, se avrà la fortuna di trovare un editore disposto a pubblicargli le sue dettagliate annotazioni giornaliere. Pubblicare magari, chi lo sa, anche per sensibilizzare il legislatore a utilizzare il proprio inneres auge, il proprio occhio interiore, per dotare di uno sguardo più saggio e lungimirante l’occhio della giustizia, che spesso, suo malgrado, si deve avvalere della lente miope del legislatore per amministrare la giustizia, tra l’altro fra molteplici difficoltà.
Angelo Lo Verme
Per non farsi fiaccare da questa inedita e inattesa esperienza, Alfio intanto instaura un rapporto cameratesco coi detenuti in generale, ma soprattutto con quelli che condividono la cella con lui. Per egli non è facile, non è un criminale abituale, e possiede anche una cultura e una sensibilità molto al di sopra della media degli altri detenuti. Trasforma però ciò che può sembrare una debolezza nella sua forza, e grazie alla sua capacità di ascolto delle storie personali dei suoi provvisori compagni, riesce a sondarne il cuore e l’animo e a convincersi che molti non sarebbero finiti dentro, come lui del resto, se fuori ci fossero stati pari opportunità e giustizia sociale. Rinchiuso è costretto a vivere in prima persona tutte le storture del sistema carcerario e giudiziario italiano. E’ costretto a scoprire quanto poco riabilitativa è la detenzione in Italia, e quanto invece unicamente punitiva essa si svela, totalmente in contrasto coi principi costituzionali. Ciò specie quando poi a fine pena l’ex detenuto deve ritornare a fare i conti con la dura realtà che aveva lasciato prima del suo arresto, che ritrova intatta e anzi aggravata dall’indelebile marchio d’infamia di essere considerato per sempre un ex detenuto. Se gli era difficoltoso inserirsi nella comunità prima di delinquere, figuriamoci dopo che si è marchiato a vita delle “lettere scarlatte E. D.”.
Per dare un senso ai lunghi giorni di triste detenzione, Alfio si procura carta e penna e inizia a tenere un diario dove annota la sua esperienza carceraria. Con questo catartico atto di scrittura riesce a liberarsi un po’ della tanta angoscia che inevitabilmente attanaglia chi vive dentro una cella. Scrive anche per portare nel mondo di fuori ciò che avviene nel chiuso mondo carcerario, se avrà la fortuna di trovare un editore disposto a pubblicargli le sue dettagliate annotazioni giornaliere. Pubblicare magari, chi lo sa, anche per sensibilizzare il legislatore a utilizzare il proprio inneres auge, il proprio occhio interiore, per dotare di uno sguardo più saggio e lungimirante l’occhio della giustizia, che spesso, suo malgrado, si deve avvalere della lente miope del legislatore per amministrare la giustizia, tra l’altro fra molteplici difficoltà.
Angelo Lo Verme
