Il kevlar. Una fibra aramidica cinque volte più resistente dell’acciaio. Ares Bellocchio la utilizza per strangolare le sue vittime, che lui chiama “prescelti”. È solito portarli a ridosso del fiume Tevere, nella sua “alcova teverina”, dove può agire al riparo da occhi indiscreti. Una volta trucidato il prescelto, si sbarazza del corpo in modo non convenzionale, sfruttando un’attrezzatura per sport acquatici. Niente di quel che fa o lo circonda è in grado di turbarlo. La sua anima è un calmo vuoto, e la vita che si è costruito è una maschera necessaria con la quale schermare la sua pulsione a uccidere e la mancanza di empatia. I suoi amici e colleghi Sergio e Francesca; il suo lavoro come analista contabile alla Sten Consulting; le sue colazioni dominicali al Piano Bar di Giordano. Bellocchio si rende conto che tutto questo è un tributo da versare al sistema per occultare e proteggere il mostro che c’è in lui. Ma in questo condurre un’esistenza artificiosa non si sente affatto solo. Secondo lui infatti tutto ciò che fanno gli essere umani è fittizio, privo di un significato ultimo se non quello di negare l’unico vero motore che muove il mondo: la noia e il bisogno di evitarla. Ma nonostante Ares faccia di tutto per tenersi alla larga da ogni forma di coinvolgimento personale ed emotivo, sarà il suo passato a venirlo a tormentare.
Kevlar
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