Il presente lavoro – destinato, nella sua versione definitiva, alle pubblicazioni del Dipartimento di Scienze giuridiche dell’Università Cattolica di Milano – interviene in un momento assai delicato per la sorte dell’istituto dell’autodichia e per lo sviluppo degli studi ad esso relativi, in una contingenza tale da rappresentare, al contempo, sia uno stimolo alla pubblicazione immediata delle riflessioni da me svolte, sia un prudenziale monito alla paziente attesa nel divulgare i risultati scientifici di uno studio, che, all’esito dei procedimenti in corso sui conflitti di attribuzione di cui di seguito, dovrà necessariamente essere aggiornato.
Sono, infatti, ad oggi pendenti, innanzi la Corte costituzionale, ben tre giudizi per conflitto di attribuzione, parte dei quali sollevati dalle Sezioni Unite civili della Suprema Corte di Cassazione – nei confronti sia del Senato della Repubblica[1], sia del Segretariato generale alla Presidenza della Repubblica[2] –, parte dal Tribunale di Roma, II Sezione lavoro[3] – nei confronti, in questo caso, della Camera dei deputati.
Al momento in cui si scrive, sono già state discusse[4] innanzi la Corte costituzionale, ma non ancora decise, le due cause riunite[5] relative ai conflitti sollevati dalla Corte di Cassazione, mentre il conflitto sollevato dal Tribunale di Roma, pur già ammesso dalla Corte[6], non è, invece, ancora stato discusso.
Appare perspicua la rilevanza di tali decisioni per l’oggetto del presente lavoro, che, seppur svolto in larga parte da un punto di vista teorico, basandosi sull’analisi e sull’interpretazione del dato positivo, nonché sulla ricostruzione e l’approfondito studio della copiosa dottrina sull’argomento, anche alla luce dell’evoluzione dell’istituto e dell’ordinamento nel suo complesso, e comparato con gli ordinamenti europei (o, in alcuni casi, extraeuropei) a noi più vicini, vede nell’esame della giurisprudenza del giudice delle leggi, un suo momento fondamentale.
In particolare, è la convinzione, più volte espressa nel testo, che per la piena comprensione del fenomeno stesso siano centrali le pronunce dei giudici di Palazzo della Consulta – non meno del dato normativo dei regolamenti parlamentari, che prevedono l’autodichia delle Camere – a rendere del tutto imprescindibile l’esame di tali decisioni, al fine di poter trarre le conclusioni definitive dello studio.
Ciononostante, ritenendo il presente lavoro in larga parte concluso, e avendo con compiutezza tratteggiato la tesi sostenuta, previa analisi del dato normativo, giurisprudenziale e dottrinale, si è deciso di pubblicarlo, in una versione non definitiva, col proposito di porre, a breve, nuovamente mano al testo, una volta che siano note le decisioni della Corte costituzionale, al fine di aggiornare l’opera con l’esame degli ultimi arresti del giudice delle leggi.
Sono, infatti, ad oggi pendenti, innanzi la Corte costituzionale, ben tre giudizi per conflitto di attribuzione, parte dei quali sollevati dalle Sezioni Unite civili della Suprema Corte di Cassazione – nei confronti sia del Senato della Repubblica[1], sia del Segretariato generale alla Presidenza della Repubblica[2] –, parte dal Tribunale di Roma, II Sezione lavoro[3] – nei confronti, in questo caso, della Camera dei deputati.
Al momento in cui si scrive, sono già state discusse[4] innanzi la Corte costituzionale, ma non ancora decise, le due cause riunite[5] relative ai conflitti sollevati dalla Corte di Cassazione, mentre il conflitto sollevato dal Tribunale di Roma, pur già ammesso dalla Corte[6], non è, invece, ancora stato discusso.
Appare perspicua la rilevanza di tali decisioni per l’oggetto del presente lavoro, che, seppur svolto in larga parte da un punto di vista teorico, basandosi sull’analisi e sull’interpretazione del dato positivo, nonché sulla ricostruzione e l’approfondito studio della copiosa dottrina sull’argomento, anche alla luce dell’evoluzione dell’istituto e dell’ordinamento nel suo complesso, e comparato con gli ordinamenti europei (o, in alcuni casi, extraeuropei) a noi più vicini, vede nell’esame della giurisprudenza del giudice delle leggi, un suo momento fondamentale.
In particolare, è la convinzione, più volte espressa nel testo, che per la piena comprensione del fenomeno stesso siano centrali le pronunce dei giudici di Palazzo della Consulta – non meno del dato normativo dei regolamenti parlamentari, che prevedono l’autodichia delle Camere – a rendere del tutto imprescindibile l’esame di tali decisioni, al fine di poter trarre le conclusioni definitive dello studio.
Ciononostante, ritenendo il presente lavoro in larga parte concluso, e avendo con compiutezza tratteggiato la tesi sostenuta, previa analisi del dato normativo, giurisprudenziale e dottrinale, si è deciso di pubblicarlo, in una versione non definitiva, col proposito di porre, a breve, nuovamente mano al testo, una volta che siano note le decisioni della Corte costituzionale, al fine di aggiornare l’opera con l’esame degli ultimi arresti del giudice delle leggi.