Napoli e i napoletani non sono la stessa cosa, perché se è vero che la città è l’immagine di tutti, classi dirigenti e popolo, è altrettanto vero che dicendo classi dirigenti e popolo non si dice la stessa cosa, che non si può fare di tutta l’erba un fascio, né delle classi dirigenti, né, tantomeno, del popolo. Dove li mettiamo quelli che si sono aggrappati con le unghie, con la speranza e con i denti, alla possibilità di non chinare il capo, di non arrendersi alle inefficienze, al pressappochismo, al clientelismo, agli ismi senza fine che hanno ammorbato la città? Quelli che talvolta ne hanno fatto una questione etica, altre volte una regola di vita, altre ancora una ragione pratica?
In Bella Napoli si racconta di loro, di chi ogni mattina non si veste da supereroe ma da artigiano, insegnante, operaio, scienziato, barista, perito chimico e così via. Di chi con la propria normalità mantiene accesa la speranza e rende meno evanescente la possibilità di cambiare. Persino quando non lo sa.
In Bella Napoli si racconta di loro, di chi ogni mattina non si veste da supereroe ma da artigiano, insegnante, operaio, scienziato, barista, perito chimico e così via. Di chi con la propria normalità mantiene accesa la speranza e rende meno evanescente la possibilità di cambiare. Persino quando non lo sa.