“L’errore enorme che ho fatto venendo qui è aver pensato che qui ci fosse il Paradiso, che potessi guadagnare soldi, diventare ricco. Ho mollato tutto per venire in Europa, ma non era affatto come pensavo e come mi avevano fatto credere. È stata un’esperienza fondamentale, ora ho capito, e ho imparato cos’è il lavoro e quanto sia importante. Posso tornare in Africa e ricominciare daccapo con uno spirito diverso”.
Amadou Kane, emigrante senegalese, attraverso il racconto del suo viaggio pieno di peripezie svela i retroscena della migrazione verso l’Italia e denuncia come tante siano le bugie e le leggende tra i giovani africani, illusi e spinti a raggiungere un paradiso che non esiste, finendo vittime dei racket. Per Amadou quest’esperienza si trasforma in un tragico paradosso: il suo non è stato il viaggio di un disperato su un barcone, ma di una persona privilegiata sbarcata in aereo e vestita in giacca e cravatta che, pur vivendo bene in Africa, sente il bisogno di rincorrere la chimera della ricchezza, inculcatagli da elementi della sua stessa famiglia attivi nel racket dell’emigrazione irregolare. Dopo anni di lotte, conquiste e delusioni, Amadou capisce che il luogo della felicità non è la tanto decantata Italia ma laddove si trovano le sue radici, nello stesso Senegal da cui è voluto andare via. In questo libro vuole raccontare tutta la verità ai suoi fratelli per scoraggiare coloro che vengono a cercare di realizzare invano sogni in Europa.
“Domanda. Perché quest’Europa sempre più xenofoba non costruisce una campagna di informazione che spieghi ai popoli extra-europei di non migrare poiché il Vecchio Mondo non è affatto una cuccagna? Ho un barlume di risposta. Perché lo stesso mondo che esprime xenofobia ha anche bisogno di schiavi per tenere in piedi un’economia sempre più basata sullo sfruttamento, e perché gli schiavi ideali sono gli stranieri poveri, quelli che arrivano senza conoscere la lingua e quindi senza avere un barlume dei loro diritti e doveri”. (Paolo Rumiz)
“La mitologia nordica narra la storia del gigante Antero Viipunen che andò così lontano da sé da non essere più capace di rientrarvi. Ancora oggi vaga attorno al se stesso da cui è rimasto chiuso fuori. Si vede, si riconosce, ma non può più ricongiungersi con quel che era. È diventato altro. Questa è la condizione del migrante ma anche di chiunque sia capace di aprire gli occhi sulla condizione umana e sulla storia facendo del cambiamento una scelta anziché una condanna e cogliendone tutte le opportunità che offre”. (Diego Marani)
Amadou Kane, emigrante senegalese, attraverso il racconto del suo viaggio pieno di peripezie svela i retroscena della migrazione verso l’Italia e denuncia come tante siano le bugie e le leggende tra i giovani africani, illusi e spinti a raggiungere un paradiso che non esiste, finendo vittime dei racket. Per Amadou quest’esperienza si trasforma in un tragico paradosso: il suo non è stato il viaggio di un disperato su un barcone, ma di una persona privilegiata sbarcata in aereo e vestita in giacca e cravatta che, pur vivendo bene in Africa, sente il bisogno di rincorrere la chimera della ricchezza, inculcatagli da elementi della sua stessa famiglia attivi nel racket dell’emigrazione irregolare. Dopo anni di lotte, conquiste e delusioni, Amadou capisce che il luogo della felicità non è la tanto decantata Italia ma laddove si trovano le sue radici, nello stesso Senegal da cui è voluto andare via. In questo libro vuole raccontare tutta la verità ai suoi fratelli per scoraggiare coloro che vengono a cercare di realizzare invano sogni in Europa.
“Domanda. Perché quest’Europa sempre più xenofoba non costruisce una campagna di informazione che spieghi ai popoli extra-europei di non migrare poiché il Vecchio Mondo non è affatto una cuccagna? Ho un barlume di risposta. Perché lo stesso mondo che esprime xenofobia ha anche bisogno di schiavi per tenere in piedi un’economia sempre più basata sullo sfruttamento, e perché gli schiavi ideali sono gli stranieri poveri, quelli che arrivano senza conoscere la lingua e quindi senza avere un barlume dei loro diritti e doveri”. (Paolo Rumiz)
“La mitologia nordica narra la storia del gigante Antero Viipunen che andò così lontano da sé da non essere più capace di rientrarvi. Ancora oggi vaga attorno al se stesso da cui è rimasto chiuso fuori. Si vede, si riconosce, ma non può più ricongiungersi con quel che era. È diventato altro. Questa è la condizione del migrante ma anche di chiunque sia capace di aprire gli occhi sulla condizione umana e sulla storia facendo del cambiamento una scelta anziché una condanna e cogliendone tutte le opportunità che offre”. (Diego Marani)