All’alba del Seicento non esisteva un gruppo omogeneo di persone che rispondessero al nome di ‘scienziati’. La filosofia naturale non costituiva tanto un campo di ricerca (e tantomeno di ricerca sperimentale) quanto una parte del curriculum degli studenti che aspiravano a iscriversi alle facoltà di grado più elevato. Le arti matematiche erano insegnate nelle università, nelle corti e negli arsenali, per questioni più pratiche, di natura militare e civile, e nei luoghi di lavoro. La disciplina che oggi chiamiamo biologia era studiata in diversi tipi di giardini, realizzati allo scopo di effettuare ricerche mediche o biologiche e talvolta semplicemente per esibire le ricchezze acquisite con la conquista di nuovi territori. Talvolta le collezioni private e i cabinets di curiosità dei collezionisti furono utilizzati come strumenti di ricerca biologica. Benché non fossero del tutto prive di punti di contatto, queste attività spesso erano molto diverse e ben distinte tra loro: non c’era una sola categoria di analisi del mondo naturale e la gamma delle posizioni sociali dei cultori delle diverse discipline era molto ampia: tra questi ultimi figuravano infatti professori universitari, medici, alchimisti che lavoravano in proprio e gentiluomini dediti al collezionismo.
La rivoluzione scientifica. Luoghi e forme della conoscenza (Collana di Storia della Scienza) (Italian Edition)
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