Poco più di cinquecento anni fa, dal suo ritiro di Sant’Andrea in Percussina Nicolò Machiavelli completava la stesura di un breve trattato politico intitolato De principatibus. Il Principe, l’opera che gli avrebbe dato la fama universale e l’immortalità fra i grandi della civiltà occidentale.
Il vero storico e il vero di fantasia si intrecciano in questo romanzo, per offrirci un’ipotesi di come l’uomo di pensiero e di azione più geniale di tutta la storia d’Italia arrivò a scrivere il suo capolavoro.
Siamo nel 1513, anno fatidico e drammatico per il Segretario fiorentino. Spettatore impotente della tragica caduta della repubblica, imprigionato e torturato con l’accusa di aver cospirato contro i Medici di nuovo padroni della città, Nicolò è esiliato fra le rozze popolazioni contadine di Sant’Andrea. Costretto ad occuparsi di pecore, legna da tagliare, vigne da rimettere in sesto, si “ingaglioffisce” all’osteria del borgo giocando a carte per denaro e disputando coi villani.
Al ritorno nella sua stanza di studio, è costretto ogni volta a fare dolorosamente i conti con se stesso, le proprie ansie e le ambizioni. A rivedere tutta la sua vita, nel momento in cui la ruota della sua fortuna è al punto più basso.
Scrivere quelle pagine intrise di politica, sangue e Storia è per Machiavelli prima di tutto compiere un grande flash-back personale sulla propria esistenza. Scoprirne gli errori, in un processo di autoanalisi modernissimo, senza il quale non è possibile capire gli approdi del suo pensiero. Cercare di sanare le contraddizioni – prima di tutte quella fra l’ideale e la realtà – svelando i meccanismi del comando e della sopraffazione: non solo per se stesso, ma per i suoi lettori presenti e futuri, per le generazioni a venire.
Questa narrazione sposa, con convinzione ma senza enfasi, la “tesi” positiva su Machiavelli.
Il Principe non è il manuale della crudeltà al governo. Piuttosto, la rappresentazione più lucida che sia mai stata data degli inganni del potere – sia esso laico che religioso – perché siano riconosciuti in tempo dai popoli.
Dunque, un grande esercizio di libertà: intellettuale e politica. La storia narrata in questo romanzo, frutto di invenzione ma non inverosimile, intende ribadirlo, cercando fra le pieghe del ritratto di Machiavelli i segni della sua sofferta e profondissima umanità.
Il vero storico e il vero di fantasia si intrecciano in questo romanzo, per offrirci un’ipotesi di come l’uomo di pensiero e di azione più geniale di tutta la storia d’Italia arrivò a scrivere il suo capolavoro.
Siamo nel 1513, anno fatidico e drammatico per il Segretario fiorentino. Spettatore impotente della tragica caduta della repubblica, imprigionato e torturato con l’accusa di aver cospirato contro i Medici di nuovo padroni della città, Nicolò è esiliato fra le rozze popolazioni contadine di Sant’Andrea. Costretto ad occuparsi di pecore, legna da tagliare, vigne da rimettere in sesto, si “ingaglioffisce” all’osteria del borgo giocando a carte per denaro e disputando coi villani.
Al ritorno nella sua stanza di studio, è costretto ogni volta a fare dolorosamente i conti con se stesso, le proprie ansie e le ambizioni. A rivedere tutta la sua vita, nel momento in cui la ruota della sua fortuna è al punto più basso.
Scrivere quelle pagine intrise di politica, sangue e Storia è per Machiavelli prima di tutto compiere un grande flash-back personale sulla propria esistenza. Scoprirne gli errori, in un processo di autoanalisi modernissimo, senza il quale non è possibile capire gli approdi del suo pensiero. Cercare di sanare le contraddizioni – prima di tutte quella fra l’ideale e la realtà – svelando i meccanismi del comando e della sopraffazione: non solo per se stesso, ma per i suoi lettori presenti e futuri, per le generazioni a venire.
Questa narrazione sposa, con convinzione ma senza enfasi, la “tesi” positiva su Machiavelli.
Il Principe non è il manuale della crudeltà al governo. Piuttosto, la rappresentazione più lucida che sia mai stata data degli inganni del potere – sia esso laico che religioso – perché siano riconosciuti in tempo dai popoli.
Dunque, un grande esercizio di libertà: intellettuale e politica. La storia narrata in questo romanzo, frutto di invenzione ma non inverosimile, intende ribadirlo, cercando fra le pieghe del ritratto di Machiavelli i segni della sua sofferta e profondissima umanità.