“… Quando subentra il desiderio, sii come la tartaruga che, in caso di pericolo, ritira zampe e testa. Il corpo ospita la morte ma anche l’immortalità. Spingiti in fondo alla tua coscienza, nulla purifica come la conoscenza…” È questo il messaggio centrale del grande poema epico indiano, magistralmente reinterpretato da Maggi Lidchi-Grassi. Nel deserto capisci come mai prima. Le grandi battaglie si combattono nel cuore. Nella notte, comprendi che non serve andare per il mondo. È nel cuore che incontri te stesso e impari ciò che hai sempre saputo – che a qualunque cosa tu possa attaccarti, siano mogli o armi o granelli di polvere, essa ti lega a una vita fatta di semioscurità che è gemella della morte. Qualsiasi cosa ti può legare se provi attaccamento…Liberarsi da quello significa diventare invincibili. Dopo che hai fatto la tua rinuncia capisci di esserti salvato. Non hai bisogno di armi per proteggerti. È la conquista finale. …Un pulsare come di cento armoniosi Gândîva crebbe dentro di me. Era la musica delle stelle in cielo, le note delle sabbie nel deserto, il ritmo del mio sangue. Se qualcuno avesse suonato quella musica a Kurukshetra, se noi l’avessimo ascoltata, le frecce sarebbero cadute al suolo, i carri si sarebbero disfatti, gli elefanti si sarebbero inginocchiati e non ci sarebbe stato conflitto. Eppure in molti avevano attraversato quel deserto, ma non avevano udito nulla, attaccati ai loro fagotti, attaccati. Ma un giorno essi udranno e, in quel momento, ognuno saprà.
Mahabharata II: Le zampde della tartaruga
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