L’aereo atterrò a Linate e prima di correre in ospedale da sua moglie chiamò Elisabetta per avvisarla che per un impegno improvviso non sarebbero potuti andare alla prima della Scala, ma lei non intese ragioni, quella sera voleva essere alla prima della Scala come le aveva promesso e lui non seppe dirle di no.
Per questo avvenimento mondano aveva speso tutti i soldi rimasti in vestiti, gioielli e per i biglietti del palco, erano elegantissimi quando si presentarono all’ingresso del teatro dove si rappresentava la seconda edizione del Macbeth quella rielaborata da Verdi per l’Opéra di Parigi. Lottava per non addormentarsi, l’opera non la sopportava non ci capiva nulla, mentre Elisabetta era estasiata e felice. “Sono un bastardo mia moglie è in ospedale e io sono qui a divertirmi”. Rimuginava ma non riusciva a negarle niente era stregato da Lei.
Tra gli sbadigli e la noia di Umberto l’opera era arrivata alla fine dopo gli applausi scroscianti ai cantanti si apprestarono a lasciare il teatro, all’uscita furono accolti da una folla inferocita di operai e disoccupati che manifestavano la loro rabbia per le condizioni in cui versavano, restò un attimo a guardarli pensieroso, in fondo era uno di loro, non centrava nulla con quelle persone che ostentavano ricchezza da ogni poro. «Andiamo via ho paura» disse Elisabetta. La prese sottobraccio e si allontanò, dopo alcuni metri senti una voce alle sue spalle. «Umberto sporco fascista.» Si bloccò aveva capito di chi si trattava. «Corri verso il taxi e aspettami.»
«Ma cosa succede?»
«Vai nel taxi!» Le disse con una voce decisa e fredda che le fece venire i brividi.
Mise la mano nella tasca del cappotto e strinse l’arma che portava sempre con sé e si girò lentamente, Mario era tra la folla anche lui impugnava una pistola, intorno si creò il vuoto ci fu un fuggi fuggi generale, mentre Elisabetta chiusa nella macchina guardava la scena terrorizzata. Sembrava la ripresa di un film, il primo colpo partì dalla pistola di Mario, il secondo senza che togliesse la mano dalla tasca da Umberto, caddero tutt’e due a terra. Elisabetta non scese aveva troppa paura era sconvolta si mise la mano sulla bocca reprimendo l’urlo che stava per emettere, fu come se quell’uomo fosse la prima volta che lo vedesse, decise che non voleva entrarci per niente in quella storia aveva bisogno di serenità e di una vita tranquilla, anche monotona, ma normale, con Umberto era come stare sulle montagne russe, le giornate che passavano insieme erano indimenticabili, era accontentata in ogni suo desiderio si sentiva amata e coccolata, per contro non sopportava i mesi di solitudine senza sapere dove si trovava, non riusciva più a seguire i suoi discorsi sul futuro, sarebbe stata dura lasciarlo ma non voleva più continuare quella relazione, guardò per qualche secondo l’uomo a terra e senza chiedersi se era vivo o morto disse all’autista con le lacrime agli occhi. «Mi porti a casa.»
Per questo avvenimento mondano aveva speso tutti i soldi rimasti in vestiti, gioielli e per i biglietti del palco, erano elegantissimi quando si presentarono all’ingresso del teatro dove si rappresentava la seconda edizione del Macbeth quella rielaborata da Verdi per l’Opéra di Parigi. Lottava per non addormentarsi, l’opera non la sopportava non ci capiva nulla, mentre Elisabetta era estasiata e felice. “Sono un bastardo mia moglie è in ospedale e io sono qui a divertirmi”. Rimuginava ma non riusciva a negarle niente era stregato da Lei.
Tra gli sbadigli e la noia di Umberto l’opera era arrivata alla fine dopo gli applausi scroscianti ai cantanti si apprestarono a lasciare il teatro, all’uscita furono accolti da una folla inferocita di operai e disoccupati che manifestavano la loro rabbia per le condizioni in cui versavano, restò un attimo a guardarli pensieroso, in fondo era uno di loro, non centrava nulla con quelle persone che ostentavano ricchezza da ogni poro. «Andiamo via ho paura» disse Elisabetta. La prese sottobraccio e si allontanò, dopo alcuni metri senti una voce alle sue spalle. «Umberto sporco fascista.» Si bloccò aveva capito di chi si trattava. «Corri verso il taxi e aspettami.»
«Ma cosa succede?»
«Vai nel taxi!» Le disse con una voce decisa e fredda che le fece venire i brividi.
Mise la mano nella tasca del cappotto e strinse l’arma che portava sempre con sé e si girò lentamente, Mario era tra la folla anche lui impugnava una pistola, intorno si creò il vuoto ci fu un fuggi fuggi generale, mentre Elisabetta chiusa nella macchina guardava la scena terrorizzata. Sembrava la ripresa di un film, il primo colpo partì dalla pistola di Mario, il secondo senza che togliesse la mano dalla tasca da Umberto, caddero tutt’e due a terra. Elisabetta non scese aveva troppa paura era sconvolta si mise la mano sulla bocca reprimendo l’urlo che stava per emettere, fu come se quell’uomo fosse la prima volta che lo vedesse, decise che non voleva entrarci per niente in quella storia aveva bisogno di serenità e di una vita tranquilla, anche monotona, ma normale, con Umberto era come stare sulle montagne russe, le giornate che passavano insieme erano indimenticabili, era accontentata in ogni suo desiderio si sentiva amata e coccolata, per contro non sopportava i mesi di solitudine senza sapere dove si trovava, non riusciva più a seguire i suoi discorsi sul futuro, sarebbe stata dura lasciarlo ma non voleva più continuare quella relazione, guardò per qualche secondo l’uomo a terra e senza chiedersi se era vivo o morto disse all’autista con le lacrime agli occhi. «Mi porti a casa.»