Leggendo Federico Pitti si può giungere ad una piacevole constatazione: lui non scrive per sé bensì lo fa per tutti gli altri.
Ogni sua poesia si accosta ad un aspetto dell'uomo all'interno di quel percorso di vita che, per concessione o condizione, si trova continuamente a porre sotto spietata analisi. Giocando con lessemi figli di una poetica cara tanto ai "Maledetti" di Verlaine quanto al caro Brecht, Federico Pitti ci costruisce il suo "uomo", fatto di schernimento, solitudine dinnanzi alla folla, di dolore nel volersi vedere cambiato ma allo stesso tempo contraddetto dal rammarico per un passato che non può mettersi in pausa, per poi avviarsi in una conseguente ed inspiegabile malinconia, e terminarsi nell'odio per le stesse parole che condannano l'uomo del Pitti ad un'esistenza fondata su continue definizioni dei propri stati d'animo. Il poeta brama la leggerezza custodita dall'inconsapevolezza degli eventi, dal dolce farsi sfuggire via tutto. Pitti quasi invidia quella sua folla che riesce ancora ad ostentare pietà e distacco. Il suo uomo è troppo dentro al mondo, troppo radicato nella sua condizione di esistente. Allora il poeta, utilizzando in modo ossessivo la sua figura retorica preferita, l'epifonema, eleva il suo piccolo uomo a maestro di vita e portavoce d'interessi generali non riuscendo però mai a chiarire alcun tipo di dubbio.
Ogni sua poesia si accosta ad un aspetto dell'uomo all'interno di quel percorso di vita che, per concessione o condizione, si trova continuamente a porre sotto spietata analisi. Giocando con lessemi figli di una poetica cara tanto ai "Maledetti" di Verlaine quanto al caro Brecht, Federico Pitti ci costruisce il suo "uomo", fatto di schernimento, solitudine dinnanzi alla folla, di dolore nel volersi vedere cambiato ma allo stesso tempo contraddetto dal rammarico per un passato che non può mettersi in pausa, per poi avviarsi in una conseguente ed inspiegabile malinconia, e terminarsi nell'odio per le stesse parole che condannano l'uomo del Pitti ad un'esistenza fondata su continue definizioni dei propri stati d'animo. Il poeta brama la leggerezza custodita dall'inconsapevolezza degli eventi, dal dolce farsi sfuggire via tutto. Pitti quasi invidia quella sua folla che riesce ancora ad ostentare pietà e distacco. Il suo uomo è troppo dentro al mondo, troppo radicato nella sua condizione di esistente. Allora il poeta, utilizzando in modo ossessivo la sua figura retorica preferita, l'epifonema, eleva il suo piccolo uomo a maestro di vita e portavoce d'interessi generali non riuscendo però mai a chiarire alcun tipo di dubbio.